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martedì 26 luglio 2022

Il calcio degli anni '80: Maradona, Zico, Rummenigge, Platini, Falcao, Matthaus, Gullit, Van Basten, Francescoli, Careca...

Gli anni '80 furono anni calcisticamente straordinari e gli ultimi autenticamente liberi dai durissimi condizionamenti dei mercati televesivi, che, dopo, avrebbero preso il sopravvento e mutato la geografia e la storia dell'arte della pelota.

Nel 1980, alla vigilia dei campionati europei che si sarebbero tenuti proprio in Italia, deflagra da noi lo scandalo del calcio scommesse, una vicenda mai abbastanza chiarita, che conosce evitabili eccessi di spettacolarizzazione con tanto di calciatori arrestati in campo alla fine delle partite. Lo sfregio all'immagine del movimento nazionale è profondo. Seguono processi e squalifiche, che coinvolgono anche campioni di fama riconosciuta come Bruno Giordano e Paolo Rossi, che si professerà sempre innocente. 

Gli Europei, si diceva. Vince la Germania Ovest, perché c'è anche e ancora la Germania Est il più fedele alleato dell'URSS, Berlino è divisa da un muro che è simbolo e monito della guerra fredda, la cortina di ferro è ancora attualissima.

I tedeschi, dell'Ovest, sono guidati dal formidabile Karl-Heinz Rummenigge, possente ma tecnico ed acrobatico attaccante del Bayern Monaco, dalla progressione irresistibile. Attorno a lui, molti altri campioni, da Breitner a Stielike, da Hrubesch, centravanti colossale che sembra uscito da un'opera di Wagner, fino al giovane, superbo Bernd Schuster, mezzala ambidestra dalla tecnica sudamericana, la corsa poderosa e una sapienza calcistica da veterano. In finale, i tedeschi battono il Belgio. L'Italia ripete invece il quarto posto ottenuto ai mondiali d'Argentina del 1978, non senza rimpianti. 

Riaprono, dopo la serrata decisa nel 1966, le frontiere calcistiche. Ogni squadra italiana di Serie A potrà tesserare un calciatore straniero. Uno soltanto, per il momento. All'Inter, arriva il raziocinante regista austriaco Prohaska, alla Juve il mancino irlandese Brady, al Milan nessuno, perché i rossoneri sono retrocessi per via del calcio-scommesse. Ma, sono Napoli e Roma ad accogliere i due campioni migliori. L'asso olandese Krol, va sotto il Vesuvio. Già magnifico terzino sinistro, si reinventa libero di regia. Alla Roma, arriva invece il brasiliano Paulo Roberto Falcao, alto, biondo, elegante egli pure, ha corsa leggera, tiro secco, perentorio stacco di testa, diventa l'anima della squadra, che condurrà, nel 1983, alla conquista del secondo storico scudetto, sotto la guida di Liedohlm, assieme a Bruno Conti, Agostino Di Bartolomei, Ancelotti, Pruzzo

Nel 1980, lo scudetto va all'Inter di Bersellini, che abbina la classe di un centravanti moderno ante litteram come Altobelli all'estro scapricciato di Evaristo Beccalossi e con loro Muraro, Oriali, Marini, il libero e capitano Graziano Bini e Bordon, costretto alla panchina in nazionale da Dino Zoff, che ha già 38 anni e sta per vivere un straordinario tramonto di carriera. Nel 1981 e nel 1982, il campionato va invece alla Juve di Trapattoni, che costituirà l'ossatura dell'Italia campione del mondo nel 1982: Zoff, appunto, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli. E non senza polemiche della Roma, che è seconda nel 1981, e della Fiorentina, che è seconda nel 1982. 

E il 1982 è l'anno dei Mondiali di Spagna. Una squadra è favorita rispetto a tutte le altre, il Brasile di Tele Santana, che raduna una pattuglia di fuoriclasse straordinari con due soli punti deboli, il portiere e il centravanti, il lungagnone Serginho, che viene preferito a Roberto Dinamite, mentre il giovane Careca è fermato da un infortunio. Il centrocampo di quel Brasile è irripetibile: la regia arretrata di Falcao, la corsa elegante di Cerezo, i tocchi magici del leader della democracia corinthiana, Socrates, virtuoso del colpo di tacco, le progressioni e il mancino atomico di Eder, i dribbling e le rasoiate del numero 10, il Pelè bianco, Zico. Senza dimenticare che il terzino sinistro, Leo Junior ha piedi più che da centrocampista. 


Poi, c'è l'Argentina campione del mondo in carica, capitanata da Passarella, che con Scirea e Krol è il miglior libero del mondo, il tedesco Stielike viene dopo di loro, con Kempes e Ardiles e lui, il più grande di sempre, anche se non ancora tutti lo riconoscono, Diego Armando Maradona. L'Italia è dietro nel pronostico, ma quel mondiale lo vince, in mezzo a mille polemiche, battendo nel secondo girone eliminatorio proprio Argentina e Brasile. Dopo 44 anni, l'Italia è, per la terza volta, campione del mondo. Rossi è capocannoniere con 6 gol, tre al Brasile, due alla Polonia in semifinale, uno alla Germania Ovest in finale. Bruno Conti, ala destra di piede mancino, autentico regista laterale dell'Italia è il miglior giocatore della manifestazione. L'urlo di Tardelli, per il secondo gol della finale, l'esultanza sugli spalti del Presidente Pertini e Zoff con la coppa fanno il giro del mondo. 

Dino Zoff con la Coppa del Mondo 1982

E il campionato italiano di Serie A è il miglior campionato del mondo. I grandi campioni vengono tutti in Italia. Nel 1984, alla vigilia dello storico scudetto del Verona di Bagnoli, in serie A sono pronti a giocare: Maradona, nel Napoli, Zico all'Udinese, Falcao e Cerezo, nella Roma, Rummenigge e Brady, nell'Inter, Platini e Boniek, nella Juve, Socrates e Passarella nella Fiorentina, Briegel ed Elkjaer nel Verona. Ma ci sono anche Junior, nel Torino, Hateley nel Milan, Michael Laudrup nella Lazio. Una straordinaria, mai vista, parata di stelle. Si fa prima a contare i pochi assi del pallone che non ci sono: Francescoli, Lineker, Schuster, Brian Robson. I migliori sono tutti da noi.

Karl Heinze Rummenigge
con la maglia dell'Inter

L'Italia, dopo la sbornia dei festeggiamenti del 1982, complice uno svecchiamento della squadra cui Bearzot non procede per umana riconoscenza verso i suoi campioni, fallisce le qualificazioni a Euro 1984. In Francia, vincono i padroni di casa, trascinati da Michel Platini, capocannoniere con 9 gol e vertice del quadrilatero magico del centrocampo transalpino, formato anche da Fernandez, Tigana e Giresse. Il calcio definito dai medesimi francesi, con qualche concessione alla propria grandeur, calcio champagne. In finale, i francesi battono la Spagna. In quegli Europei, che noi guardiamo da casa, si mette in mostra il talento ancora poco irreggimentato del danese Michael Laudrup e quello del belga Vincenzo Scifo.

A destare grande sensazione è sopratutto la Danimarca di Laudrup, per il gioco spumeggiante dove forza fisica, coraggio e qualità tecnica trovano una sintesi quasi perfetta. Nasce la Danish Dynamite: Morten Olsen, LerbyFrank Arnesen, l'ala inarrestabile dell'Ajax,  l'indomabile attaccante Preben Larsen Elkjaer e Michael Laudrup danno spettacolo. Solo il rigore sbagliato da Elkjaer contro la Spagna, in semifinale, ferma la corsa lanciatissima dei Vichinghi del pallone.

Nel 1986, tornano i Mondiali. Toccherebbe, nella logica dell'alternanza, al Sudamerica. E precisamente alla Colombia. Ma, ai colombiani, alle prese con terribili problemi interni, non riesce di organizzare una competizione così risonante e complessa. E così, dopo appena 16 anni, si torna in Messico, per celebrare l'apoteosi del massimo genio calcistico apparso sulla terra a miracol mostrare: Diego Armando Maradona. Guiderà una squadra modesta, dentro la quale a stento brillano stelle minori come Ruggeri e Burruchaga e Valdano, a un trionfo inaspettato. Cinque gol, tra i quali due, il più beffardo e il più bello di sempre agli inglesi, già nemici in una recente guerra da operetta eppure sentitissima per il possesso delle Malvinas o Falkland, davanti alle coste argentine. Gli inglesi della Tatcher, tre anni prima vincono con le armi, Maradona, a Mexico '86, vendica la storia con il pallone, che pare prolungamento e sublimazione del suo stesso corpo di atleta tarchiato e compatto. Si ripeterà con una favolosa doppietta al Belgio in semifinale, e lanciando Burruchaga verso la rete del vittorioso 3-2 contro la Germania Ovest in finale. Capocannoniere del torneo, Gary Lineker, 6 gol. L'Italia esce agli ottavi contro la Francia di Platini. Bearzot affonda con il suo gruppo storico. Della spedizione azzurra si salvano in pochi, di più Altobelli, quattro gol più un autogol provocato. 

In Europa, nelle competizioni per club, dominano inizialmente le squadre inglesi. La Coppa dei Campioni va al Nottingham Forest nel 1980, all'Aston Villa nel 1982, al Liverpool nel 1981 e nel 1984. Nel 1983, vince l'Amburgo, con gol dalla distanza di Magath, negando alla Juve il primo successo in una competizione ancora mai vinta. Il successo per gli uomini del Trap giunge nel 1985, dopo i tragici scontri dell'Heysel di Bruxelles, dove si scatena la violenza cieca degli hooligans del Liverpool: 39 morti e immagini raccapriccianti. La Juve, in un clima surreale, vince 1-0 ma c'è poco da festeggiare. Si tratta del canto del cigno della Juve del Trap, illuminata dall'estro di Platini, tre volte consecutive capocannoniere in Serie A (1983, 1984 e 1985) e vincitore di altrettanti Palloni d'Oro.

Il 10 francese gioca un calcio fantasioso. Salva le caviglie, cedendo il pallone sempre un momento prima di subire il contrasto avversario. Gioca tanto di prima e segna punizioni meravigliose.

Michel Platini
con la maglia della Juve

Le squadre inglesi vengono squalificate dalle competizioni internazionali per cinque anni. Finisce così un dominio inziato nel 1977. E si apre la strada a successi inaspettati in Coppa dei Campioni: Steaua Bucarest nel 1986, ai rigori sul Barca, Porto nel 1987, Psv Eindhoven nel 1988. L'anno dopo, tocca al Milan di Sacchi, che ha il vento della critica in poppa. Rischia di uscire contro la Stella Rossa di Belgrado: si salva per la nebbia. Sempre nel 1989, c'è anche il successo in Coppa Uefa del Napoli di Maradona. Che aveva già vinto uno storico primo scudetto nel 1987 e si sarebbe ripetuto tre anni dopo, all'alba del nuovo decennio.

Maradona con
la maglia del Napoli

Nel 1988, in Germania, sempre Ovest, si disputano gli Europei. L'Italia, passata da due anni nelle mani di Azeglio Vicini, è forte. Difesa di ferro con Zenga, il miglior portiere del mondo del momento, Bergomi, capitano, Ferri, Franco Baresi e un giovane Paolo Maldini. Davanti Vialli, che brilla solo contro la Spagna, e Mancini, che gioca titolare, anche se Altobelli è ancora un centravanti migliore di lui. E poi Giannini in regia e Donadoni all'ala destra. Gli azzurri escono in semifinale contro l'URSS del calcio robotico del colonnello Valerij Lobanowski. Che in finale perderà contro l'Olanda di Gullit, numero dieci rossonero, e Van Basten, da poco tornato da un infortunio, tanto che lo scudetto con il Milan l'ha visto poco in campo. Van Basten parte inizialmente dalla panchina: gioca il manovriero Bosman. La partita d'esordio, proprio contro l'URSS, gli olandesi la perdono. Poi, entra contro l'Inghilterra, nella seconda partita del girone: tre gol! Sarà il capocannoniere della manifestazione e vincerà il primo di tre palloni d'oro. Il suo gol al volo, da posizione defilata a incrociare sul palo lontano - permesso anche da una fasciatura rigida sulla fragile caviglia destra - è splendido.

Marco Van Basten
con la maglia del Milan

Dasaev è battuto. Zenga, un gol così, però, nemmeno bendato avrebbe potuto prenderlo.

Walter Zenga 
con la maglia dell'Inter
e il trofeo di miglior portiere del mondo

Proprio Zenga difenderà la porta dell'Inter, innervata dai tedeschi Matthaus e Brehme, nell'ultimo campionato del decennio, che i nerazzurri, allenati dal Trap, venuto a Milano nel 1986, si aggiudicheranno con una sfilza di record e sei giornate d'anticipo. Il Napoli di Maradona, Careca e Alemao finisce a 11 punti, il Milan di Gullit, Rijkaard e Van Basten a 12: si assegnano ancora due punti per vittoria. Il calcio all'italiana di Trapattoni, quello con le marcature a uomo e il libero, s'impone sulla zona sacchiana.

Il campionato di Serie A resta altamente competitivo. In 10 anni, dal 1980 al 1989, vincono lo scudetto sei squadre diverse: quattro la Juve (1981, 1982, 1984, 1986), due l'Inter (1980, 1989), uno la Roma (1983), uno il Verona (1985), uno il Napoli (1987), uno il Milan (1988).

Nel decennio, si disputano tre edizioni della Coppa America. Le prime due sono vinte dall'Uruguay di Enzo Francescoli. Nel 1983, la Celeste vince davanti al Brasile, nel 1987, davanti al Cile. Nel 1989, vince il Brasile di Romario e Bebeto, superando proprio l'Uruguay. 


 Per approfondire:

lunedì 30 novembre 2020

Il punto dopo la 9^ giornata della Serie A 2020/21

Resta in vetta alla classifica il Milan, anche senza Ibrahimovic. Squadra solida e in fiducia da tempo. Cui tutto, sino ad ora, è girato per il verso giusto. Ne andrà saggiata la forza alle prime difficoltà che si presenteranno. La Fiorentina non era un avversario abbastanza insidioso.

L'Inter risale al secondo posto, dopo aver battuto il Sassuolo. Il calcio di rimessa già le riusciva bene lo scorso anno e resta quello più vicino alle idee e alle possibilità di Conte. Di più: è anche il calcio tradizionalmente vincente dell'Inter nella sua storia più che secolare. Contro squadre chiuse, la penso come Bergomi, che di Inter se ne intende, manca estro davanti. Gli unici ad avere dribbling stretto sono Lautaro e Sanchez. Di certo, aver abbassato il baricentro della squadra - una decina di metri - ha dato maggior protezione alla difesa.

Vittoria travolgente del Napoli sulla Roma. Gli uomini di Gattuso, con una partita persa a tavolino e un punto di penalizzazione, hanno una classifica peggiore di quella reale. Squadra forte. Ieri, meno sbilanciata, con il 4-3-3.

La Lazio cede contro l'Udinese: testa alla Champions? La Juve, che, ripeto, faticherà a piazzarsi tra le prime quattro, non va oltre il pareggio con il Benevento: Cristiano Ronaldo è da più di due anni che ne condiziona i risultati. Appena manca, la Juve fatica.

Pareggiano Cagliari e Spezia, mentre un gol di Soriano regala la vittoria al Bologna contro il Crotone.

lunedì 19 ottobre 2020

Bergomi, Eriksen e Conte

I tifosi nerazzurri, io per primo, hanno le loro stranezze. Ma non capisco, e non sopporto, l'astio di molti di loro verso una bandiera, un simbolo come Beppe Bergomi, 756 partite con l'Inter, storico capitano. Lo vorrebbero tifoso e non commentatore equilibrato. Ora, gli rimproverano di essere troppo critico con Eriksen, ma non è vero. Ha solo detto, prima degli altri, che l'asso danese avrebbe faticato con Conte. E i fatti si sono, purtroppo, incaricati di dargli ragione. Conte non prevede il trequartista nel suo gioco. Al più una mezzala d'assalto. Come fu il Vidal prima maniera. Ha fatto eccezione solo per Hazard al Chelsea, perché il belga faceva tutto lui in campo e vinceva partite e partite da solo. A Bergomi, Eriksen ricorda Bergkamp, perché taciturno, distaccato, algido. Non un trascinatore. Forse anche Bergomi esagera, perché non tutti possono avere il carisma di Matthaus. Però, è vero che il calcio italiano è più tattico di quello inglese, che c'è meno spazio, che ci sono più marcature immediate e preventive. E che Eriksen deve adattarsi. Ora, io Eriksen lo farei giocare sempre, vertice alto di un rombo. Ma, fin quando l'allenatore sarà Conte, ecco perché Bergomi ha ragione nella sua analisi, difficilmente succederà. Purtroppo. Soluzioni: una svolta, oggi imprevedibile, di Conte verso una maggiore elasticità tattica. Prima e durante le partite. Servirebbe ad Eriksen. Servirebbe all'Inter. E allo stesso Conte, la cui carriera sarebbe molto condizionata da un'altra stagione senza vittorie. 

martedì 9 giugno 2020

Italia-Austria 1-0: Schillaci. Accadeva 30 anni fa. La prima delle "notti magiche"

Sono passati 30 anni, dal 9 giugno 1990, debutto della nazionale italiana di Azeglio Vicini ai mondiali di casa, che quella squadra avrebbe potuto e dovuto vincere, salvo fermarsi ad un passo dalla gloria.

Campionato mondiale di calcio 1990 - Wikipedia
Nazionale Italiana, Italia '90

All'Olimpico di Roma, alle ore 21 di un sabato ch'era stato sereno e soleggiato, l'Italia affrontava l'Austria guidata da Hickersberger: squadra solida, che aveva nel capitano Tony Polster, già possente centravanti del Torino, in quel momento in forza al Siviglia, il suo leader tecnico e morale.


Quell'Italia aveva la miglior difesa al mondo, tra le più efficaci e meglio assortite mai viste, tanto da tenere imbattuta la propria porta per quasi sei partite di quel mondiale, sino al beffardo gol di Caniggia in semifinale. Zenga in porta, Bergomi terzino destro marcatore, Ferri stopper, Maldini terzino sinistro, Franco Baresi libero! Il centrocampo viveva della regia di Giuseppe Giannini, scortato dalla corsa di De Napoli, con Donadoni ala destra e Ancelotti interno. Ecco, il centrocampo, che poi Vicini avrebbe cambiato più volte, era forse il reparto meno brillante. Ma, i problemi, all'inizio, ci furono davanti. Vicini partì con Vialli e Carnevale di punta. Ma, i due non facevano coppia. Carnevale era meno forte di Serena, tenuto in panchina, e Vialli, cominciò a capirsi quella sera, era sopraffatto dalla tensione. Avrebbe dovuto essere il suo mondiale. Fu invece il mondiale di Schillaci.


Salvatore Schillaci - Wikipedia
Salvatore Schillaci


Sì, perché al netto di una lunga prevalenza territoriale e di un controllo facile del gioco, l'Italia stentava a trovare il gol e c'era odore di beffa. Del resto, l'Argentina campione del mondo uscente aveva appena perso la partita inaugurale contro il Camerun. Al 75', Vicini toglie Carnevale per Schillaci. Carnevale reagisce male alla sostituzione, come Chinaglia contro Valcareggi nel 1974: non entrerà più in squadra. E Schillaci, 1,75 m, quattro minuti più tardi riceve a centro area un cross di Vialli e segna il gol della vittoria, in saltando in mezzo a due colossi austriaci. Stagione pazzesca per lui, dopo tanta gavetta nelle serie inferiori. Con la Juve di Zoff ha appena vinto Coppa Italia e Coppa Uefa. Al mondiale segnerà altre cinque reti, laureandosi capocannoniere del torneo.

Mondiali di calcio d'Italia '90
Roma, Stadio Olimpico, sabato 9 giugno 1990, ore 21:00

Italia-Austria 1-0 (0-0)

Italia: Zenga (Inter), Bergomi (Inter) -cap.-, Maldini P. (Milan), Ancelotti (Milan), Ferri II (Inter), Baresi II (Milan), Donadoni (Milan), De Napoli (Napoli), Vialli (Sampdoria), Giannini (Roma), Carnevale (Napoli) - Sostituzioni: 46' De Agostini (Juve) per Ancelotti; 75' Schillaci (Juve) per Carnevale (Napoli). All.: A. Vicini

Austria: Linderberger, Russ, Streiter, Aigner, Pecl, Schottel, Artner (62' Zask), Linzmaier (77' Hortnagl), Ogris, Herzog, Polster -cap.-. All.: J. Hickersberger

Arbitro: Wright (Brasile)

Rete: 79' Schillaci (Italia)

Spettatori: 72.303 paganti

venerdì 22 maggio 2020

In morte di Gigi Simoni. La sua Inter fu amatissima

Del personaggio non aveva la vocazione né l'attitudine né la costante ispirazione. Tutto in lui, dal modo di parlare, sempre pacato al tono degli abiti, rimandava al curato di campagna. Eppure Luigi Simoni, detto Gigi, nato a Crevalcore il 22 gennaio 1939, divenne, malgré lui, il simbolo della più grande ingiustizia avvenuta su un campo di calcio, popolarissimo a causa di quella sciagurata primavera calcistica del 1998, quando, alla guida dell'Inter di Massimo Moratti e sua e di Beppe Bergomi e di Ronaldo, si vide strappare uno scudetto strameritato. E il modo ancor m'offende.

Simoni aveva masticato calcio sin da piccolo. Ed era stato calciatore di buon livello. Ala destra. Nel Mantova e nel Napoli e poi nel Torino. Persino nella Juve, per curioso scherzo del destino, chiudendo infine la carriera nel Genoa.
File:Luigi Simoni - Genoa 1893 1973-74.jpg - Wikipedia
Gigi Simoni con la maglia
del Genoa

Proprio con i rossoblu aveva intrapreso la carriera di allenatore, guidando Il Grifone a due promozioni dalla B alla A e a cinque salvezze nella massima serie, tra la metà dei '70 e la metà degli '80. Poi, era entrato in un cono d'ombra, allenando per lo più tra i cadetti, fino al ritorno al grande calcio, riportando la Cremonese in serie A e tenendocela tre anni. Nel 1996, l'approdo al Napoli. Bei risultati che convincono Moratti a regalargli la panchina dell'Inter, mentre ancora vi siede Hodgson

Nel 1997, Simoni è il tecnico dell'Inter. E dovrà allenare il miglior giocatore del mondo, Ronaldo. E con lui, davanti, Djorkaeff, Zamorano, ma anche Branca e Ganz, che presto cambieranno aria, e il giovanissimo Recoba. E ci sarebbe anche Kanu, reduce da un'operazione al cuore. Simoni è serio e preparato, abituato a suscitare il meglio dai suoi giocatori. Tra i quali ha voluto Diego Simeone, combattente argentino del centrocampo, e Moriero, ala com'era ala lui da giocatore. Restituisce a Bergomi un posto da titolare e lo vuole libero: decisione che regalerà al capitano nerazzurro il suo quarto mondiale, dopo l'esilio deciso da Sacchi.


File:FC Inter 1997-98 - Ronaldo e Luigi Simoni.jpg - Wikipedia
Gigi Simoni con Luiz Nazario da Lima, Ronaldo
Il problema è che, al netto di Ronaldo e delle attese, l'Inter stenta all'inizio. E voci di esonero si propagano ad agosto. Sarà Recoba, con il suo sinistro tonitruante, a salvare la panchina di Simoni contro il Brescia, rovesciando lo svantaggio firmato da Hubner. E tutto questo mentre tutti attendevano l'esordio con goleada di Ronaldo. Che si sblocca però la giornata successiva contro il Bologna. La squadra si compatta e diventa l'avversaria massima della Juve di Lippi. Contro cui Simoni vince all'andata. Fuga di Ronaldo sulla destra e tocco in rete di Djorkaeff a porta vuota. L'Inter si avvia a conquistare il suo quattordicesimo scudetto, rispettando la cadenza temporale dell'ultimo trentennio, uno ogni nove anni, nel 1971, nel 1980, nel 1989 e 1998. Invece no. La più maldestra, bizzarra, pacchiana e comica serie di errori arbitrali che io ricordi, toglie punti all'Inter, per darli alla Juve. Mi costerebbe troppo elencarli tutti. Certo che il gol annullato all'Empoli contro la Juve, con la palla dentro di un metro, e il celeberrimo atterramento di Ronaldo da parte di Iuliano, nella decisiva Juve-Inter del ritorno, si stagliano sugli altri per ineffabilità. In quell'ultimo caso, Simoni, il garbatissimo, elegantissimo Simoni, trascinato dallo sdegno, che è il contrario dell'ira ed invece il marchio del candore, entrò in campo, dicendo: vergogna. Fu espulso. L'Inter perse lo scudetto, conquistò la Coppa Uefa a Parigi, contro la Lazio, con un perentorio 3-0.

L'anno dopo Simoni ebbe da gestire un attacco pieno di stelle: a Ronaldo e Djiorkaeff e Zamorano e Recoba si aggiunsero Pirlo, allora trequartista, e Ventola, e sua maestà Roberto Baggio. Forse troppo. Farli giocare tutti assieme non si poteva e non si sarebbe potuto. L'Inter in Coppa dei Campioni perde nettamente all'andata al Bernabeu. Al ritorno, però, con doppietta del subentrato Baggio, il Real Madrid campione uscente viene regolato 3-1, qualificandosi ai quarti di finale. L'Inter vince anche la domenica in campionato. E Moratti, mentre Simoni ritira un premio come miglior allenatore della passata stagione, lo esonera. Perché? Mai capito, mai davvero spiegato. Moratti, anni dopo confesserà l'errore. Simoni venne poi sempre rimpianto dai tifosi nerazzurri. Per la signorilità, sì e senz'altro, per le vittorie, colte e sfumate, per l'ingiustizia del suo allontanamento, per i torti di un sistema che aveva mostrato la sua faccia feroce e ridicola proprio nel 1998. Sì, per tutto questo. Ma, anche perché seppe dare vita ad una squadra amata come poche altre nella storia dell'Inter. Per me, seconda solo a quella del 1989. Sì, ho amato l'Inter di Simoni più dell'Inter del triplete. E mi pare, nel ricordare Simoni, che non ci sia da aggiungere altro.

P.S.: andate a rivedere i minuti finali della vittoria in Coppa Uefa contro la Lazio. Sentirete Pizzul e il coro che dal Parco dei Principi si leva ritmato e solenne, accompagnando le battute finali di quel trionfo: Gigi Simoni, Gigi Simoni, Gigi Simoni...